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Sta arrivando “Splinternet” – Si parla di guerra fredda tra Usa E Cina, ma non è come ai tempi dell’Urss: l’industria cinese è molto più intrecciata a quella americana

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Pubblicato da in Finance ·
Le ripercussioni economiche del bando di Android saranno pesanti anche per Google (e per Apple)  – Le colpe dei giganti Usa e i cinesi che alla fine non sembrano così dispiaciuti: potranno farsi la propria rete portando il web a spaccarsi (almeno) in due grandi entità ...



ARRIVA LO SPLINTERNET

È in arrivo la nuova Guerra Fredda? Sì, no, forse. L’accelerazione di Trump e la decisione di Google di togliere il sistema operativo Android al colosso cinese Huawei scatena scenari e ipotesi e abbondano gli echi dell’era di scontro tra l’impero statunitense e quello sovietico. Ma non è proprio così: come scrive l’Editorial board del Financial Times, l’industria sovietica non è mai stata così intrecciata con quella americana come quella cinese di oggi.

Huawei non è solo un’azienda cinese, è di fatto una multinazionale che certo gode di un trattamento privilegiato da parte del governo di Pechino, ma, come abbiamo scritto su Dagospia ieri, ha nell’export il suo core business. Quindi? La mossa di Trump va letta come uno sforzo per limitare l’ascesa della Cina, ma danneggerà proprio gli stessi interessi americani e degli altri paesi occidentali.

Huawei è il principale attore mondiale sulla tecnologia del futuro, il 5g, anche e soprattutto per colpa degli stessi Stati Uniti, che al momento non garantiscono un’alternativa altrettanto economica ai suoi alleati, salvo poi lamentarsi che gli stessi alleati corrono a prendersi le economiche ma (apparentemente) stabili  tecnologie cinesi, barattando la sicurezza con il basso costo. Trump e i suoi predecessori hanno le loro colpe per la morsa con cui Pechino tiene in scacco il mondo occidentale.

D’altra parte la Cina non sta facendo niente per togliersi di dosso l’immagine di potenza maligna: si lamenta delle mosse degli Stati Uniti, ma da par suo blocca aziende e siti Web stranieri, inclusi Twitter, Facebook e servizi di Google, tra cui Gmail e YouTube. Il numero di società europee costrette a cedere le tecnologie in cambio dell'accesso al mercato in Cina è raddoppiato in due anni.

Scrive il Financial Times: “gli Stati Uniti e l’Occidente non dovrebbero cercare di bloccare l'ascesa della Cina, ma incoraggiarlo a cooperare in un sistema basato su regole e buoni esempi”. In un mondo regolato dal libero mercato, gli alleati di Washington dovrebbero essere liberi di scegliere se ricorrere a Huawei o meno, quali passi giudicano necessari per combattere le minacce alla sicurezza dei cinesi o di altri. Gli Stati Uniti hanno pure il diritto di prendere misure di sicurezza - ma non di permettere che queste scivolino in un protezionismo destabilizzante.

È interessante leggere quello che ha detto il fondatore di Huawei Ren Zhengfei ai media statali cinesi ieri: “Noi abbiamo sacrificato gli interessi degli individui e delle famiglie per un’ideale, quello di raggiungere la vetta del mondo. Per questo ideale, sapevamo che ci sarebbe stato un conflitto con gli Usa prima o poi”.

Ren ha detto che il bando non avrà impatti sui piani in merito al 5G, visto che i rivali non possono diventare competitivi nel breve periodo: “Le azioni del governo degli Stati Uniti al momento sottovalutano le nostre capacità". Quello che non dice il boss di Huawei è che se è vero che sul 5g non hanno rivali, il bando di Android rende di fatto i cellulari cinesi non più appetibili (e parliamo di uno smartphone su 4 solo in Europa). Ancora di più mette nei guai l’azienda il bando dei chip da parte di Intel, Broadcom e Qualcomm: Huawei possiede l’unità di semiconduttori HiSilicon, ma non è assolutamente paragonabile alla tecnologia statunitense.

Eppure la mossa di Google, che crea casini a Huawei sul lato consumer in Europa (ma non sul 5g, che è un discorso a parte), ai cinesi non sembra dispiacere così tanto: si costruiranno la propria rete, dando finalmente avvio al processo di divisione in due blocchi del web (il cosiddetto “Splinternet”) con cui hanno solo da guadagnarci. Come vorrebbe anche Putin in Russia, una rete statale o para-statale ha i suoi pregi: può essere facilmente controllata, censurata e filtrata. È già così nei fatti con il “Great Firewall”, la grande muraglia con cui Pechino blocca l’accesso ai siti e alle app straniere e “libere”.

Ecco, le app: chi, in Europa, sarà disposto a usare le app cinesi (di fatto controllate dal governo di Pechino)?

Il passaggio più interessante delle dichiarazioni di Ren Zhengfei è quando dice di essere “molto grato” alle compagnie americane, che negli anni hanno contribuito molto allo sviluppo di Huawei. Molti consulenti sono arrivati dall’Ibm e Google, che ora fa la voce grossa, ha collaborato stabilmente con i cinesi, dando loro accesso a quell’Android che ora gli ha tolto e aprendo – si dice – alla possibilità di creare una versione del suo motore di ricerca che ricevesse l’imprimatur del Partito Comunista. E qui torniamo alle colpe e alla scarsa lungimiranza dei “titani del web” e dei politici americani: anche loro hanno contribuito a regalare a Huawei il mercato che ora vogliono togliergli.

MA GOOGLE SAPRÀ RINUNCIARE AI DATI DEGLI UTENTI DI HUAWEI?
Umberto Rapetto per Startmag

Google taglierà fuori Huawei. La guerra di Trump contro le tecnologie con gli occhi a mandorla conosce una nuova tappa dove a farne le spese sono gli utenti finali. Chi ha un telefonino di quell’azienda non potrà più accedere a Google Play. Chi si azzarda a fare spallucce è costretto a modificare il proprio approccio al problema perché la questione è più seria di quanto si sia portati a immaginare.

La mossa voluta dai manager di Menlo Park ha riverberazioni di vario genere e il semaforo rosso all’incrocio con lo “store” di Google è destinato a sconvolgere il traffico commerciale e a turbare ulteriormente il mercato delle telecomunicazioni.
Tanto per cominciare, le aziende americane che producono i microprocessori che sono il cuore degli apparati cinesi probabilmente dovranno rivedere i piani industriali, tenendo conto che verrà meno una fetta di vendite senza dubbio non trascurabile. Qualcomm, Broadcom, Xilinx e Intel avranno un crollo del fatturato che sarà parzialmente ammortizzato dal pregresso fatturato derivante dalle grandi scorte di chip che il colosso cinese ha certamente accumulato per disporre di una certa autonomia nella produzione futura.

Il duello stavolta non si limita al confronto tra i “big”, ma va ad avere un impatto non secondario sul bacino di utenza. Chi adopera uno smartphone Huawei non avrà più modo di aggiornare le applicazioni finora installate (con i rischi legati a sopraggiunte vulnerabilità che suggeriscono l’update del software) né di acquisirne di nuove (vedendo compromesse le possibilità di sfruttare a pieno le potenzialità del dispositivo di uso quotidiano).

Lo sgambetto ulteriore arriva dalla sopravvenuta impossibilità di avvalersi della app di GMail e dal conseguentemente più scomodo utilizzo di quel servizio di posta elettronica passando attraverso la normale navigazione online e il ricorso alle dinamiche di accesso/lettura/invio dei messaggi via web.

Chi aveva messo in programma l’acquisto di un apparato dell’industria di Shenzen, probabilmente aspetterà un attimo prima di fare una spesa che potrebbe non soddisfare le aspettative. Come in tutti gli scontri il bilancio delle perdite non è fatto soltanto sulle macerie più facili ad esser riconosciute. Se i danni a Huawei, ai suoi fornitori e ai suoi clienti, sono fin troppo evidenti, non minor rilievo sono le conseguenze negative per Google. Il gigante californiano sarà costretto a mettersi a dieta. Già, a dieta.

La grande realtà americana si “ciba” di informazioni personali e l’attuale strategia ha una significativa ripercussione sull’approvvigionamento di quel che rappresenta l’alimentazione essenziale. Chiudere le porte ai clienti Huawei significa rinunciare a tutti i dati che questi avrebbero pagato come pedaggio per avvalersi dei servizi normalmente messi a disposizione del pubblico. La circostanza è tutt’altro che secondaria e probabilmente questo sarà il fattore che indurrà ad un ripensamento o quanto meno ad una rivisitazione delle condizioni di blocco. Le “app” hanno una vocazione vampireggiante che i cybernauti più esperti conoscono bene.

Le autorizzazioni ad agire che l’utente concede in fase di installazione stuzzicano l’appetito dei golosi divoratori di informazioni personali, garantendo risultati molto più efficaci rispetto qualunque trappola piazzata sul web. Se Google si mostrerà irremovibile, Huawei non potrà fare a meno di prendere iniziative. E lo dovrà fare anche nell’ipotesi la tensione dovesse mai scendere perché un altro KO potrebbe essere fatale.

La prima cosa da fare sarà sviluppare app, piattaforme e soluzioni end-user che possano mettere in condizione l’utente di non rimpiangere quel che Google Play era capace di offrire.

Un paragone culinario ci può far capire che non sarà facile. Siamo sicuri che la “cucina cinese” delle app sia in grado di non far rimpiangere la “dieta mediterranea” con tutti quei programmini che finora sono garbati al palato della clientela?

DAI CHIP ALL' AUTO: COSÌ TRUMP ORA SFIDA GLI EQUILIBRI GLOBALI
Riccardo Barlaam per il Sole 24 Ore

"World war web". Parafrasando l' acronimo della rete, qualche mese fa la copertina di Foreign Policy preannunciava quanto sta avvenendo. Internet è nata negli Stati Uniti. Negli ultimi decenni ha spinto la crescita mondiale e cambiato la vita di tutti. La Cina nella sua lunga marcia di sviluppo economico rischia di conquistare la leadership del digitale e delle tlc.

Così la sfida per l' Internet del futuro è diventata una priorità nazionale per l' America di Trump. Una costola importante nella più ampia trade war scatenata per contenere l' espansionismo economico cinese.

Huawei è il campione industriale cinese nelle tlc, cresciuto in maniera esponenziale in pochi anni. L' azienda è prima al mondo negli apparati di rete tlc. Seconda negli smartphone, dopo Samsung e prima di Apple. E non ha mai nascosto le sue ambizioni da primato. Un primato che gli Stati Uniti cercano di ostacolare, nel tentativo di riequilibrare i conti a loro favore. Così in questi mesi si sono scatenate varie azioni contro Huawei accusata di spionaggio con "backdoor" nelle apparecchiature di rete, di copiare prodotti di società americane, di aver violato le sanzioni contro l' Iran. Inchiesta da cui è derivato l' arresto della cfo Meng Wanzhou, la figlia del fondatore Ren Zengfhei, tuttora in attesa di estradizione in Canada. Arresto clamoroso avvenuto il primo dicembre, nelle stesse ore in cui Trump al G-20 di Buenos Aires siglava la tregua con il presidente cinese Xi Jinping.

La scorsa settimana Trump ha emesso un' ordinanza che vieta alle società americane di usare apparati di tlc prodotti da aziende straniere, adducendo minacce alla sicurezza nazionale e alla politica estera americana. Decisione pensata in chiave anti-cinese, contro Huawei e Zte, anche se le due società non sono citate. Poche ore dopo l' Ufficio per l' industria e la sicurezza (Bis) del Dipartimento al Commercio ha inserito Huawei e 68 società affiliate in un elenco di aziende a cui è vietato acquistare tecnologia made in Usa.

La conseguenza è lo stop annunciato da Google nella fornitura a Huawei dei servizi su licenza legati al suo sistema operativo Android, che ieri ha tenuto in scacco le Borse.
Huawei potrà continuare a utilizzare Android Open Source (Aosp), la parte aperta del sistema operativo di Google per i telefonini, il più diffuso al mondo utilizzato secondo i dati della società da 2,5 miliardi di persone, ma non avrà più accesso ai servizi legati ad Android, e venduti su licenza, come le mappe, Gmail, YouTube, PlayStore e il browser Chrome. Un danno enorme per Huawei e per le sue ambizioni a diventare prima al mondo negli smartphone.

Huawei da tempo si sta preparando allo scenario peggiore. La controllata HiSilicon ha sviluppato microchip di riserva per far fronte allo stop ai chip made in Usa, e sta lavorando alla realizzazione del suo sistema operativo per smartphone, Kirin Os. Ma sarà difficile sostituire quanto offerto dai servizi Google. Oltre a Google, in seguito al divieto di Trump, hanno già sospeso le forniture a Huawei i produttori americani di chip Intel, Qualcomm, Xilinx e Broadcom.

Intel è il principale fornitore di chip per i server della società cinese. Qualcomm vende processori e modem per gli smartphone. Xilinx e Broadcom forniscono chip per le reti tlc. A Pechino non mancano le reazioni all' escalation americana. Il governo ha fatto sapere che sosterrà le azioni legali per proteggere i diritti delle aziende cinesi all' estero. Il portavoce del ministero degli Esteri accusa gli Stati Uniti di nutrire «aspettative stravaganti» per un accordo con la Cina, e ha sottolineato la distanza crescente tra i due Paesi, dopo l' azione contro Huawei che ha colpito il settore tecnologico globale. Nei media non mancano appelli nazionalistici. L' editorialista del Global Times, il tabloid del partito comunista cinese, propone il boicottaggio dell' iPhone.

Allargando il campo alle trattative sulla trade war, non ci sono al momento trattative in programma tra le due delegazioni. «I negoziati sono falliti perché gli americani hanno cercato di raggiungere obiettivi irragionevoli attraverso pressioni estreme», ha detto il portavoce degli Esteri. L' unico appuntamento in agenda è l' incontro tra Trump e Xi al G20 di Osaka a fine giugno. I rapporti tra le due prime potenze mondiali non sono mai stati così tesi.

Trump di sé, dai tempi in cui vendeva grattacieli, ha sempre detto che l' unica cosa che sa fare è l' arte di negoziare. L' America First ha sparigliato le carte degli equilibri globali. Ispirato dall' economista protezionista Peter Navarro, da Robert Lighthizer, da Larry Kudlow e da John Bolton, i falchi dell' amministrazione, il presidente ha spinto in questi anni a rivedere tutti i trattati commerciali a favore degli Usa. Oltre alle dispute con la Cina, finora è riuscito a portare a casa solo l' accordo con la Corea del Sud. Ha siglato il nuovo trattato con Canada e Messico, in attesa di ratifica. Si prepara a negoziare un accordo con il Giappone: il 24 maggio Lighthizer incontrerà a Tokyo il ministro dell' Economia Toshimitsu Motegi. E vuole arrivare a un accordo con l' Unione europea, con la minaccia dei dazi alle auto sospesi per ora, come arma negoziale.

In molti intravedono scenari di tempeste in arrivo per l' economia mondiale in queste ore. Qualcuno teme una «prossima crisi finanziaria globale». Henry Paulson su tutti, ex segretario al Tesoro di George W. Bush, sostiene che le relazioni travagliate tra Stati Uniti e Cina sono un rischio anche per l' economia americana: «Il problema quando usi il martello è che rischi di rompere tutto».



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