PERCHÉ PER BILL GATES IN FUTURO LAVOREREMO SOLO DUE GIORNI A SETTIMANA
Pubblicato da Wired in Technology · Lunedì 31 Mar 2025 · 4:45
Largo al weekend super-lungo? Visto che gli esseri umani non serviranno più a un sacco di cose, o, per meglio dire, saranno sostituiti in moltissime mansioni, la nostra settimana lavorativa potrebbe accorciarsi ad appena due giorni su sette.
Quando? Nel giro di una decina d'anni. Parola di Bill Gates, co-fondatore di Microsoft, gigafilantropo dalle preoccupazioni planetarie e visionario che ha la fama di prenderci benino. Occhio lungo capace di spingersi in avanti di un quarto di secolo: basti pensare che nel suo libro del 1999 intitolato in italiano Business alla velocità del pensiero aveva previsto l’arrivo o l’evoluzione di servizi o gadget come (citiamo in ordine sparso) gli assistenti virtuali alla Alexa, gli smartphone, le pubblicità targetizzate e la finanza online. Insomma, vale la pena stare a sentire il vecchio William, quando decide di esternare. In fondo basta prenotare il superweekend con cancellazione gratuita per non farsi trovare impreparati.
Come sarà il lavoro del futuro
“Come sarà il lavoro? Forse potremo lavorare solo due o tre giorni alla settimana?” si è chiesto Gates ponendosi una domanda retorica durante una puntata del Tonight Show sulla Nbc. Non era la prima volta: già un paio di anni fa, ai primi vagiti di ChatGPT, il multimiliardario aveva disegnato uno scenario simile. Quello, cioè, in cui lavorare poco sarà la norma e in sostanza la gran parte del pianeta dovrà -semmai - preoccuparsi di cosa farne, di tutto quel tempo libero cui sono in pochi a essere abituati. Ai tanti fuffaguru che parlano proprio del tempo come principale ricchezza della nostra epoca mancherà la terra sotto i piedi, se questa sarà davvero la direzione in cui andranno le società (almeno le più terziarizzate e sviluppate sotto il profilo digitale e tecnologico).
Lettere da Kirghisia
Scherzi a parte, il panorama immaginato da Gates ricorda un libretto uscito ormai oltre vent’anni fa e firmato dal regista, poeta e filosofo Silvano Agosti, intitolato Lettere dalla Kirghisia (L'Immagine edizioni, 2004). Attraverso dieci missive spedite ai propri amici, Agosti racconta di un'immaginaria società a misura d’uomo, “dove ognuno sembra gestire il proprio destino, e la serenità permanente non è un’utopia, ma un bene reale e comune”.
In Kirghisia il problema del lavoro, principale responsabile dell’abbrutimento dell’essere umano per come è stato organizzato dal sistema turbocapitalista, è stato risolto riducendo a tre le ore giornaliere. Agosti scommetteva, all’epoca, su un part-time orizzontale mentre Gates opterebbe, a quanto pare, per uno verticale; ad ogni modo, le restanti ventuno ore della giornata verrebbero dedicate da ciascuno a quello che più lo aggrada: dal riposo alla creatività passando per i figli, la vita, l’amore. E poi casa, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, per citare Tiziano Ferro e un brano di quegli anni. Ovviamente in Kirghisia non ci sono problemi di produttività, che, anzi, marcia alla grande grazie al fatto che tutti vanno a lavorare felici e in un’ora producono quanto in un giorno nel vecchio regime.
Non per tutti
Abbandonando Kirghisia e tornando alla realtà, però, non possiamo fare a meno di notare che quella di Gates non è un'affermazione, come scritto da molte testate, ma una domanda. E, per certi versi, si tratta di una realtà stiamo già sperimentando sulla nostra pelle: in certi casi con alcuni vantaggi, in altri con un bel carico di timori.
Secondo il papà di Microsoft, per esempio, a sparire per primi saranno medici e insegnanti. Ci penseranno gli agenti di intelligenza artificiale a curarci o farci da maestri e tutor: e chissà se le parcelle e le rette costeranno più o meno dei salassi di oggi.
Agli esseri umani, sembra dire Gates, rimarranno mestieri quasi scenografici, come quello di giocatore professionista di baseball, perché naturalmente a nessun piace vedere una partita di baseball giocata da robot o computer: "Ci saranno alcune cose che ci riserveremo; ma in termini di produzione, spostamento e coltivazione di cibo, col tempo questi saranno problemi sostanzialmente risolti". E con loro, tutti gli operatori e i lavoratori che se ne occupano.
Felici di non lavorare più?
I problemi di questi discorsi sono sempre i soliti due. Il primo è la narrativa necessariamente entusiastica. Perché dovremmo essere così felici di non lavorare più? O meglio: quale tipo di lavoratore dovrebbe essere felice, e quale altro meno? Cosa significherebbe per la crescita umana e individuale? Per cosa studieremo e come imposteremo il nostro percorso di vita, cosa ci motiverà? Senza contare che si tratta di uno scenario che, lo sappiamo benissimo, sarà riservato a poche, turbomuscolose economie ricche.
Il secondo punto è che chi propone questi modelli non affronta mai il tema della (re)distribuzione della ricchezza, che è il vero problema non del futuro, ma dell'oggi. Nella società con pochissimo lavoro quali saranno le fonti del reddito? Ci manterranno Sam Altman, Elon Musk e Bill Gates organizzando di tanto in tanto qualche estrazione a sorpresa? Il lavoro è uno strumento di emancipazione e di autonomia. Quello degli ultimi anni è spesso un lavoro povero e psicologicamente frustrante: ma sono le mansioni stesse a esserlo, o la loro gestione e il trattamento economico loro riservato?